Di Corrado Sforza Fogliani, Presidente di Confedilizia – Da Il Foglio
Roma, 10 ago. 2013: Con il decreto che ha disposto la sospensione parziale della prima rata dell’Imu sulla prima casa, il governo ha assunto l’impegno di intervenire sulla fiscalità immobiliare attraverso una sua riforma complessiva. lmpegno che aveva la sua origine nello stesso discorso di presentazione dell’esecutivo alle Camere, nel quale il presidente Letta aveva prospettato “una politica fiscale della casa che limiti gli effetti recessivi in un settore strategico come quello dell’edilizia” (esplicitamente sottolineando anche la necessità di incentivi per gli affitti). Il nuovo governo, insomma, aveva riconosciuto sin dal suo insediamento che il settore immobiliare era (come tuttora è) in crisi e che questa crisi era (ed è) determinata dal carico tributario gravante su di esso. E’ anche per queste ragioni che il dibattito sull’Imu non dovrebbe limitarsi ad una disputa sul destino del gettito attualmente derivante dall’imposizione sull’ abitazione principale, ma dovrebbe invece costituire l’occasione, da un lato, per ripensare in modo innovativo e ambizioso l’impostazione delle scelte di politica tributaria per il settore immobiliare e, dall’altro, per perseguire l’obiettivo del contenimento della spesa attraverso una reale responsabilizzazione degli enti locali.
Punto di partenza di ogni ragionamento è che l’Imu è un’imposta impresentabile in un sistema fiscale civile: colpisce anche chi non ha reddito o non percepisce dal bene inciso neppure l’importo dell’imposta. Va dunque completamente abbandonata, per un sistema che coniughi il beneficio che i contribuenti ricevono dalle opere apprestate dagli enti locali con la redditività del bene sottoposto a tassazione, com’è nei paesi con un fisco equo. Una fiscalità che rispetti i prinicipi stabiliti dalla nostra Corte costituzionale e, volendo, anche da quella tedesca. Per una service tax, il sistema concepito dal governo Berlusconi e varato dal Consiglio dei ministri il 24 ottobre 2011 è una buona traccia. Si deve pagare solo per i servizi che si ricevono e devono pagare tutti quelli che di questi servizi godono, compresi i non residenti.
Ciò, attraverso un tributo che – improntato al carattere della corrispettività – sarebbe sensibile non solo alla quantità, ma anche alla qualità dei servizi forniti dagli enti locali. L’imposizione deve poi essere impostata nell’ottica di un federalismo di concorrenza fra enti impositori, e non di un federalismo – come é avvenuto – che serva solo ad aggiungere nuovi tributi. Per un’imposizione caratterizzata dalla corrispettività, i parametri di riferimento per l’applicazione della stessa, dovranno essere stabiliti dallo stato nel provvedimento istitutivo, ma ai comuni andrà lasciata la responsabilità dell’individuazione del “peso” e delle detrazioni, per i singoli parametri.
Soltanto così la nuova imposta locale funzionerà, costituendo il principio del “vedo, pago, voto”, un imprescindibile presupposto del contenimento della spesa pubblica non giustificata, principio che i comuni devono accettare e non solamente proclamare. Il potere di governare i parametri della service tax nella loro incidenza finale e il criterio del beneficio porte ranno necessariamente Ie comunità locali a scelte responsabili, instaurando un rapporto diretto dei contribuenti con il territorio e mettendo gli stessi nella possibilità di operare confronti, che genereranno buongoverno.