di Massimo Bordignon – Il Sole 24 ORE del 23.07.2012
Il modo più semplice per descrivere la finanza locale in Italia nell’estate del 2012 è quella di un’economia di guerra, espressione che sta diventando ormai abusata, ma che cattura esattamente la situazione corrente. In un’economia di guerra non si guarda tanto per il sottile e ogni mezzo è utile per raggiungere il fine.
Nel nostro caso, il fine è il raggiungimento degli obiettivi di bilancio per il complesso delle amministrazioni pubbliche, costi quel che costi. Patti di stabilità e vincoli legislativi non perseguono dunque più lo scopo originario di mantenere una coerenza complessiva tra i comportamenti finanziari dei diversi livelli di governo, necessaria in un’articolazione istituzionale complessa come la nostra, quanto quello di associare Regioni e altri enti territoriali allo sforzo di risanamento complessivo imposto alle amministrazioni pubbliche.
Solo che se l’elastico viene tirato troppo rischia di spezzarsi, con nocumento della stessa credibilità del processo di aggiustamento. Specificamente, il decreto legge sulla spending review impone tagli ai trasferimenti (esclusi quella per la sanità) per Regioni ed enti territoriali pari a 2,3 miliardi nel 2012, che diventano 6,2 nel 2013. Poiché i vincoli sui patti di stabilità rimangono inalterati, questo significa che agli enti territoriali sono richiesti miglioramenti dei saldi dello stesso ammontare, da raggiungersi con riduzioni di spesa o incrementi di entrata.
Che qualche governo locale “salti” in questa situazione e preferisca, o sia costretto, a incorrere nelle sanzioni piuttosto che raggiungere gli obiettivi previsti dai patti di stabilità, non è irragionevole, con ovvie ripercussioni sulla credibilità del processo di aggiustamento.
La situazione è particolarmente a rischio per gli enti locali più poveri, che dovrebbero essere maggiormente tutelati. L’inasprimento degli obiettivi si è accompagnato anche con un’espansione dei margini di manovra degli enti territoriali sui tributi, propri e derivati. Ma se un ente relativamente ricco è in grado di compensare, almeno in qualche misura, con uno sforzo fiscale complessivamente modesto i tagli nei trasferimenti, questo è impossibile per un ente povero. Ciò suggerirebbe di concentrare le poche risorse disponibili rimaste nei fondi di riequilibrio a vantaggio degli enti territoriali più poveri, tralasciando gli ambiziosi obiettivi di riforma dei meccanismi di riparto in corso, che appaiano del tutto irrealistici.
Eppure, nonostante tutto, l’economia di guerra sulla finanza locale sta producendo anche risultati apprezzabili. È apprezzabile lo sforzo del governo di ripartire gli ultimi tagli nei trasferimenti non in modo lineare, ma tenendo conto della spesa per beni e servizi delle varie tipologie di enti rispetto a qualche standard di riferimento. Anche se non è affatto chiaro dal decreto che succede se le varie conferenze intergovernative non si accordano sul metodo, se cioè si tornerà nuovamente ai tagli lineari o se il governo imporrà una sua interpretazione degli standard di spesa.
È apprezzabile che il governo abbia approfittato della crisi per intervenire sulla struttura territoriale dei governi, accorpando le province, istituendo le città metropolitane e imponendo la gestione congiunta dei servizi per i comuni più piccoli, anche se l’efficacia di queste manovre dovrà essere verificata sul campo.
Più in generale, è apprezzabile che si sia posta su basi più robuste la finanza comunale, con l’introduzione e il potenziamento dell’Imu anche sulla prima casa, uscendo dall’assurdo di un federalismo pagato dai non residenti. È apprezzabile che si prefiguri una regionalizzazione dei patti di stabilità per gli enti enti sub-regionali, a cui dovrà accompagnarsi necessariamente, anche una regionalizzazione dei trasferimenti erariali.
Finita l’economia di guerra, e in un modo o nell’altro questa dovrà per forza finire, ci sono delle fondamenta per ricostruire su basi più solide e razionali la finanza degli enti territoriali.
Fonte: Il Sole 24 ORE