Il mal d'acqua del mondo

di Giovanni SartoriCorriere della Sera del 15.08.2012

Almeno di Ferragosto, niente politica. Ci sono cose più serie da considerare. La Terra brucia in una sempre più lunga sequela di estati, oppure si congela in inverni gelidi come non mai. I tranquillisti di professione (o anche a pagamento) obbiettano che la terra ha sempre subito cicli di raffreddamento e poi di riscaldamento. Sì, ma cicli di secoli, di millenni, o anche di milioni di anni; mai di decenni. Quando ero ragazzo esistevano le stagioni, e il caldo cominciava di regola a metà luglio. Quest’anno a metà giugno era già molto caldo e da luglio siamo stati quasi arrostiti. Di pari passo, quando non occorreva, specie di inverno, siamo stati ripetutamente alluvionati, dopodiché le piogge non si sono quasi più fatte vedere. Vedi, appunto, la siccità che affligge la Pianura Padana, ma che affligge anche gli Stati Uniti, che hanno registrato il luglio più caldo della loro storia, la Russia e tanti altri Paesi ancora, mentre nel contempo in Ucraina piove a dirotto.

Potrei continuare a elencare. Ma oramai tutti concedono che il clima è impazzito. Prima si diceva che il clima era «pazzo» a marzo; ora è pazzo tutto l’anno. E oramai quasi tutti convengono che la colpa è del riscaldamento della Terra prodotto dai «gas serra» a sua volta prodotti dall’uomo, o meglio dai troppi, troppissimi uomini (siamo già a 7 miliardi, si prevedeva che arriveremo a 9 miliardi, ma ora si parla addirittura di 10. Poveri noi!). Presto mancherà sempre più quasi tutto (nonostante i miracoli tecnologici che escogitiamo, visto che vengono subito annullati dalla crescita demografica).
Ma veniamo al tema che mi sono assegnato. In parte perché verte sul disastro che ritengo più imminente e in parte perché stimolato dal recente editoriale (più articolo di domenica) di Massimo Gaggi su La Battaglia dell’Acqua , che ha poi ottenuto il placet di Formigoni. L’acqua, dichiara il nostro governatore, «sarà il tema centrale dell’Expo Milanese del 2015».

Per allora – rassicuro i lettori – l’acqua ci sarà ancora (il rischio è semmai che non ci sia l’Expo), ma temo che ce ne sarà sempre meno non solo per via del numero crescente degli assetati ma ancor più perché non si sa quando e dove arrivi. L’acqua serve per bere, ma anche per mangiare, e cioè per l’agricoltura. E qui il caso più grave è quello dei monsoni dai quali dipende la vita o la morte (esagero un po’, ma non esageratamente) di qualcosa come 600 milioni di contadini indiani, più o meno la metà della popolazione complessiva del Paese. Sì, l’India ha un grande fiume, il Gange, che però è oramai ridotto allo stremo, e che purtroppo attraversa a monte il Pakistan, un nemico giurato (musulmano) che ne può aumentare a piacimento i prelievi. Pertanto l’acqua che salva l’agricoltura indiana è quella dei monsoni: pesanti piogge estive portate dal vento di Sud-Ovest che ogni anno cominciava a soffiare all’inizio di giugno. Ora non si sa più. Il monsone del 2012 al suo esordio ha lasciato il Nord-Ovest dell’India all’asciutto mentre ha alluvionato il Nord-Est. Per di più, o per di peggio, in varie zone le precipitazioni si sono dimezzate. E non occorre spiegare che se i monsoni impazzissero l’India sarebbe in ginocchio e potrebbe dover piangere montagne di morti.

Un altro caso molto serio e che ci tocca da vicino è quello del Nilo, il fiume più lungo del mondo (se si sommano Nilo Bianco e Nilo Azzurro).
La sorgente principale del Nilo è il lago Vittoria che è sì un lago immenso ma poco profondo (80 metri massimo), e che si sta non solo restringendo (il livello dell’acqua è sceso di due metri negli ultimi anni) ma che sta anche morendo perché invaso da alghe giganti che lo imputridiscono.
A suo tempo le potenze coloniali spartirono le acque del Nilo (che per l’Egitto sono questione di vita o di morte per oramai 83 milioni di abitanti) tra Egitto (con il 90%) e il Sudan. Ma ora esistono altri cinque Stati – tra i quali Tanzania, Uganda e Kenya – che vantano diritti sulle acque del fiume e che si trovano a monte degli altri due. Guerra imminente per le acque del Nilo? È possibile; ma certo non risolverà il problema perché acqua per tutti già non c’è. Torniamo a casa, al Po. Purtroppo il Po è alimentato da ghiacciai che si stanno sciogliendo più rapidamente di altri. Quasi ogni anno lo vediamo man mano ridotto a un rigagnolo, o poco più. Occorre d’urgenza modificare le colture che dipendono dal bacino del Po, escludendo quelle che «bevono» più acqua.

Se davvero Expo 2015 ci sarà, e se sarà davvero sull’acqua, fossi Formigoni (o chi per lui) manderei al più presto un gruppo di esperti in Israele per studiare l’irrigazione a gocce e verificare come gli israeliani siano riusciti, quasi senza acqua, a trasformare una sassaia desertica, quantomeno nel Nord del Paese, in una rigogliosa agricoltura. Acqua di falda, nella Pianura Padana, ancora ce n’è. Non aspettiamo che si prosciughi. Per una volta il mio pezzo di Ferragosto è (localmente) speranzoso.

Fonte: Corriere della Sera

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