Internet, 4 italiani su 10 non l’hanno mai usato

Di Paolo Baroni – Da La Stampa

Agenda digitale, il divario con l’Europa.

Roma, 22 ott. 2013: Che l’Italia sia in ritardo, in fortissimo ritardo, lo ammette senza incertezze Enrico Letta. «Il nostro ritardo è evidente», conferma il premier chiudendo i lavori del forum annuale promosso da Confindustria Digitale. Per «recuperare» ora bisogna «correre»: «la prima questione da affrontare – spiega – è quella dell’alfabetizzazione» e non è un caso se in cima a piani del governo c’è la dotazione di reti wifi a tutte le scuole italiane.

Il dossier presentato ieri a Roma fotografa bene la realtà italiana. In quanto a infrastrutture non siamo messi male: il 96% delle case, grazie all’integrazione tra reti fisse, mobili e satellitari, è collegato (o collegabile, sarebbe meglio dire) alla rete Internet ad una velocità di almeno 2 megabyte al secondo (ma solo il 14% è raggiunto da banda ultralarga) a fronte di una media europea del 95,5%. Ma è tutto il resto, nello Stato come nel privato, che stenta oppure non funziona proprio. Influenzando così anche i comportanti dei singoli. E così in Italia solo il 53% usa regolarmente internet, contro una media Ue del 70%. Mentre il 38% non l’ha addirittura mai usato (22% nella Ue a 28).

Colpa di quelli che il viceministro allo Sviluppo Antonio Catricalà chiama «digital evaders», ovvero gli «evasori» digitali. Vedi il dirigente che stampa la mail per farla leggere al collaboratore» anziché inviarla, o «interi gruppi importanti» che fanno muro. E così a fronte di un obiettivo 2015 di far dialogare on line il 50% della popolazione con le pubbliche amministrazioni noi oggi siamo al 19%, ultimi in classifica, contro una media Ue del 44% e punte che nei Paesi scandinavi arrivano al 70. Idem per gli acquisti on line: siamo fermi al 17% contro una media Ue del 45%.

Del resto come sorprendersi: in Italia solo il 4% delle imprese vende i propri prodotti via Internet contro una media del 20% di Paesi come Germania, Belgio, Svezia e Danimarca. Sempre entro il 2015 il 25% della popolazione dovrebbe poter interagire con la pubblica amministrazione compilando o inviando moduli on-line: la media è europea è al 22% ma ben 13 Paesi hanno già centrato questo target. Noi siano appena all’ 8%.

Spiegano gli esperti di Confindustria Digitale: «Nonostante i diversi tentativi che si sono susseguiti dal 2000 a oggi (Bassanini, Stanca, Brunetta), siamo ancora ampiamente in ritardo nel processo di modernizzazione del sistema pubblico: solo il 5% dei Comuni consente di pagare le multe per infrazioni stradali on-line e appena il 37% degli enti ha attivato processi di integrazione con le banche dati gestite da altri enti. Il record del caos informatico spetta al sistema informativo fiscale: le banche dati sono addirittura 129, la maggior parte delle quali non interoperabili.

Detto questo non è che manchino i fondi, semmai manca una regia, mancano direttive chiare: oggi le Pubbliche amministrazioni italiane, centrali e locali, spendono infatti in modo fortemente frammentato più di 5 miliardi di euro all’anno in beni e servizi digitali, la maggior parte dei quali è però finalizzata alla manutenzione dei propri sistemi informativi che continuano così a rimanere scollegati tra di loro, denuncia Confindustria Digitale. Che ieri col suo presidente, Stefano Parisi, ha lanciato due proposte: primo, occorre portare fuori dalla legge di stabilità gli investimenti in questo settore («altrimenti poi non si fanno più»).

Secondo, i capi di governo che si riuniranno il 24 a Bruxelles devono «vincolare i Paesi con un Digital compact», usando la stessa determinazione applicata nell’inseguire il risanamento dei conti. Ne va della nostra crescita: «con un 10% in più di banda larga il Pil può crescere dell’1-1,5%», ha stimato il commissario europeo Neelie Kroes. Per non parlare poi della trasparenza, dell’efficienza e della modernizzazione concreta dello Stato.

E se il commissario per l’attuazione dell’Agenda digitale, Francesco Caio, ammonisce sul fatto che «senza strumenti digitali è impossibile fare una vera spending review», il ministro della Sanità Beatrice Lorenzin quantifica in ben 7 miliardi di qui a cinque anni le economie possibili nel suo settore. Per non parlare poi di tutto il resto.

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