La confusione e le inefficienze

Di Michele Anis – Da Il Corriere della Sera

Il rapporto teso tra politica e burocrazia.

Dal male nasce il bene, recita un vecchio proverbio. Il male è il caso Shalabayeva: una vicenda che ci ha fatto diventare rossi di vergogna. Il bene alberga nel dibattito che ne è scaturito, scoperchiando il vaso di Pandora dei rapporti fra politica e amministrazione. Però anche dal bene può nascere il male. Succede quando le diagnosi si rivelano fallaci, quando perciò le terapie possono infliggere il colpo di grazia all’ammalato, invece di guarirlo. Ma perché, non è forse vero che in Italia l’alta burocrazia ha troppi poteri? Certo che sì, e l’espulsione di quella giovane mamma con la sua bambina — decretata dopo un giro di valzer fra dirigenti del ministero dell’Interno e della Polizia di Stato — ne costituisce la prova provata.

Le opposizioni hanno reagito chiamando a risponderne il ministro, secondo le regole della democrazia parlamentare, dimenticando che una crisi di governo, mentre tutto il Paese è in crisi, sarebbe una sciagura. Per un momento l’ha dimenticato anche il Pd, benché questo partito esprima il presidente del Consiglio. Poi Napolitano ha richiamato tutti alla realtà, e almeno per adesso il pericolo parrebbe scongiurato. Però alla fine della giostra resta un delitto senza un assassino. E in secondo luogo rimane in circolo il sospetto — di più, la convinzione — che ministri e ministeri vivano in stanze separate. Da qui la debolezza dei governi, da qui l’arroganza delle burocrazie. Da qui, in breve, l’esigenza di mettere un guinzaglio politico al collo dei grand commis di Stato.

Errore: è casomai l’opposto che dovremmo fare. Se la dirigenza amministrativa ha ormai usurpato le funzioni del governo, se blocca qualunque taglio alla spesa pubblica per non cedere quote di potere, se una circolare vale più di cento leggi, se insomma chi decide non è più l’eletto bensì il burocrate negletto, ebbene tutto questo accade per un eccesso di contiguità — non di separatezza — fra politica e amministrazione. Ma la colpa è dei partiti, del loro pantagruelico appetito. Hanno divorato il Parlamento, annullandone l’autonomia costituzionale. Poi hanno divorato gli apparati burocratici, distruggendone l’imparzialità prescritta dall’articolo 97 della Carta. Lo hanno fatto pretendendo di scegliersi capi e sottocapi attraverso lo spoils system: una razzia benedetta da una legge del 1997, allargata da un altro intervento normativo nel 2O02, arginata a fatica dalla Consulta in numerosissime pronunzie. Ma il dirigente selezionato per meriti politici diventa giocoforza un politico lui stesso, acquista l’autorità per governare in luogo del governo, si sostituisce legittimamlente al suo ministro. E infine assiste con un ghigno al suicidio dei partiti: divorando tutto, hanno divorato anche il proprio potere. Morale della favola: fluori la politica dall’amministrazione. E fuori anche dalla giurisdizione: che altro sono le correnti della magistratura se non partiti in toga? Servono perciò riforme, come ha ammonito ancora ieri il capo dello Stato. Per sottrarre, tuttavia, non per aggiungere. Servono riforme che sappiano ambulare gli artigli dei politici. Che svuotino il gran mare delle leggi, dove ogni burocrate trova sempre un’onda compiacente su cui galleggiare. Che cancellino le zone franche della responsabilità amministrativa e giudiziaria. Che disarmino le troppe camarille in marcia sulle rovine del Paese Insomma usate le forbici, per favore. Le forbici.

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