La coscienza del più forte

Di Angelo Panebianco – Dal Corriere della Sera

Illudersi che Berlino cambi linea

È possibile che il processo alla Bce – perché di questo, in realtà, si tratta – che si sta svolgendo a Karlsruhe, sede della Corte costituzionale tedesca, si concluda con una assoluzione. È possibile cioè che la Corte alla fine respinga il ricorso per incostituzionalità contro le omt ( outright monetary transactions ), l’acquisto di titoli pubblici dei Paesi in difficoltà ideato e realizzato da Mario Draghi. Se così non fosse l’euro entrerebbe probabilmente in una crisi irreversibile e difficilmente la Corte tedesca vorrebbe intitolarsene la paternità. Ma il fatto stesso che quel procedimento sia iniziato la dice lunga sullo stato di salute (pessimo) dell’Europa.

Ne avremo quasi certamente un’ulteriore dimostrazione l’anno prossimo, al momento delle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo. Ci si aspetta, per quella occasione, una valanga di voti ai tanti movimenti antieuropei che si agitano in tutta l’Unione. Il genio «nazionalista» (antieuropeo) è uscito dalla lampada e sarà difficile imprigionarlo di nuovo. A meno di un miracolo, a meno che, nel frattempo, l’Europa sperimenti una forte ripresa economica, della quale però non si vedono le condizioni.

Per oltre cinquanta anni (almeno fino al referendum francese del 2005 che disse no al trattato costituzionale) il processo di integrazione europea si era retto su, ed era stato alimentato da, la fiducia reciproca fra i partner. C’era sempre chi voleva accelerare e chi frenava, si confrontavano sempre interpretazioni e aspirazioni più federaliste e interpretazioni e aspirazioni più stataliste, in difesa della sovranità nazionale (Francia). Ma nessuno dubitava del fatto che l’integrazione europea fosse comunque un «gioco a somma positiva», in cui tutti avevano qualcosa da guadagnare.

Adesso non è più così. La fiducia è in larga misura svanita, oggi l’Europa è vista da tanti come un «gioco a somma zero» (qualcuno guadagna e qualcuno perde). Non importa che sia vero o no. Importa che tanti lo credano. Come si ricostituisce la fiducia? Come si rimette il genio nazionalista dentro la lampada? Nessuno lo sa.

Certo è che mentre un tempo l’Europa era una faccenda di cui si occupavano solo le élites (le opinioni pubbliche praticavano il silenzio/assenso, accettavano l’Europa senza fiatare perché ne traevano benefici), ora il gioco è radicalmente cambiato, ora le opinioni pubbliche sono diventate parte integrante, e attiva, attivissima, del processo. E le élites devono tenerne conto. Per mesi e mesi ci siamo sentiti dire che, per affrontare i nodi più gravi, occorreva aspettare le elezioni politiche in Germania (settembre 2013). Perché solo dopo le elezioni, la Merkel (o il suo avversario socialdemocratico se dovesse vincerle) avrà i margini di manovra sufficienti per allentare il rigore, per ridare all’Europa del Sud la possibilità di praticare politiche di sviluppo.

Ma dove sta scritto? Perché mai ciò dovrebbe accadere? Perché la Merkel, o chi per lei, dovrebbe essere disposta, una volta riconfermata nel ruolo di Cancelliere, a sfidare l’impopolarità, a entrare in conflitto con il nazionalismo economico che permea tanta parte dell’opinione pubblica tedesca? La fine della fiducia significa questo: i tedeschi (l’opinione pubblica tedesca) non vogliono che i «loro soldi» servano per togliere dai guai gli spendaccioni europei mediterranei. Gli europei del Sud, a loro volta, ce l’hanno a morte con una Germania che, secondo loro, li strangola, pur ottenendo dall’euro i maggiori vantaggi. E il bello, o il brutto, è che tutti hanno un po’ di ragione.

Occorrerebbe un piano B. Ma nessuno ce l’ha. L’Italia e altri Paesi potrebbero minacciare l’uscita dall’euro? Ma le minacce che non possono essere attuate (per eccesso di costi, anche politici) sono, per definizione, poco credibili. Battere i pugni sul tavolo è giusto, cercare di formare in Europa coalizioni per condizionare la Germania, pure. Ma è difficile che si possa fare di più. Tutto ciò che si può portare a casa in questo modo, in termini di allentamento dei vincoli che ci soffocano, sarà naturalmente benvenuto. Ma occorrerà giocare soprattutto su risorse interne, su riduzioni della spesa e dei vincoli burocratici, per ridare respiro all’economia. E bisognerà investire di più su autonomi rapporti esterni che consentano all’Italia di svolgere un ruolo strategico di Paese-cerniera, sul piano economico come su quello politico, fra le più vicine aree extraeuropee e il mondo occidentale.

Possiamo girarci intorno quanto vogliamo ma, pur con tutto il male che c’è da dire sugli spendaccioni europei del Sud, il nostro Paese in testa, l’epicentro della crisi europea risiede in Germania. Il Paese più forte dell’Europa non è interessato a svolgere un ruolo di leadership. Non credo ci sia, come invece molti credono, un perverso piano tedesco per dominare l’Europa provocando scientemente la deindustrializzazione dell’Italia e di altri Paesi. Più semplicemente, la Germania non intende assumersi, oltre agli onori, anche gli oneri della leadership.
Per questo suonano ingenui e un po’ patetici gli appelli alla unità politica europea. L’unificazione politica italiana e quella tedesca del XIX secolo avvennero perché Piemonte e Prussia scelsero di unire i due Paesi. La Germania non è oggi disposta a fare qualcosa di simile in Europa.

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