La dissolvenza di un partito

di Angelo PanebiancoCorriere della Sera del 25.05.2012

Una delle poche certezze che si hanno sul futuro è che l’area politica denominata «centrodestra», per un ventennio tenuta insieme dalla leadership di Silvio Berlusconi, dopo le prossime elezioni, sarà assai diversa da come è oggi. L’agonia era già cominciata da tempo.

La pesantissima sconfitta del Pdl in questa tornata amministrativa ha assestato il colpo definitivo. Questo significa, come qualcuno ha incautamente affermato, che conosciamo già i nomi dei vincitori delle prossime elezioni politiche, che il centrosinistra le vincerà facilmente grazie all’assenza di un avversario credibile? Non è detto. Tutto dipende da quale sarà l’esito della crisi del centrodestra: la disgregazione, con tutti i topi che, in preda al panico, saltano dalla barca prima che affondi, o una radicale ristrutturazione?
Poiché la natura umana è quella che è, è probabile che ci siano ancora dirigenti del Pdl che sperano di cavarsela con un po’ di maquillage : mettere una pezza qui e una pezza là, inventare qualche nuova parola d’ordine, disegnare contenitori nuovi che servano a tutelare l’esistente, eccetera. Ma quei dirigenti, se ci sono, si illudono. Non c’è verso di salvare il centrodestra se non passando per un doloroso travaglio da cui emergano un nuovo assetto organizzativo e una nuova leadership .

Però queste cose non basta volerle. Occorrono anche le circostanze che le favoriscano. E le circostanze, a volte, possono essere create. Ci sono molte ragioni per volere una buona riforma del sistema elettorale. Il centrodestra ne ha una in più, e che lo riguarda direttamente. Le riforme elettorali, infatti, costringono a ridefinire l’offerta politica, obbligano i partiti a rinnovarsi. Che è esattamente l’esigenza del centrodestra.
Per un po’ di tempo, il Pdl si era illuso di potersi salvare con una riforma elettorale proporzionale. Nella convinzione che con la proporzionale, ancorché elettoralmente ridimensionato, sarebbe rimasto comunque in gioco. Il ragionamento non era sbagliato in astratto, ma sottovalutava la gravità della crisi che attanaglia quel partito. Forse anche per questo alcuni fra i più lungimiranti dirigenti del Pdl hanno cominciato a capire che un sistema maggioritario a doppio turno potrebbe tornare utile al centrodestra. Sarebbe una riforma sufficientemente radicale da obbligare a un profondo rinnovamento. In più, per sua natura, il doppio turno favorisce le aggregazioni e le alleanze e punisce chi va da solo. E non c’è dubbio che se c’è un’area che ha bisogno di nuove aggregazioni e alleanze questa è proprio l’area del centrodestra.

L’altra settimana Pier Ferdinando Casini, rispondendo a una mia sollecitazione, e a conferma della sua intelligenza politica, ha fatto su questo giornale una prudente apertura sul doppio turno. Casini ha capito che il futuro del gruppo che egli rappresenta ha bisogno di cambiamenti nel centrodestra e si prepara per essere presente all’appuntamento. E, naturalmente, sul doppio turno, da sempre suo cavallo di battaglia, il Pd non potrebbe che concordare. Prima si farà quella riforma e prima inizieranno i lavori di ristrutturazione dei diversi edifici politici.
Contrariamente a ciò che pensavano fino a qualche tempo fa i dirigenti del Pdl, non è il doppio turno a lasciare a casa gli elettori di centrodestra. A lasciarli a casa è solo lo scarso appeal dell’offerta politica.

Fonte: Corriere della Sera

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