La rinascita del Brasile tra crescita e modernità

di Irene TinagliLa Stampa del 02.04.2012

Boom di investimenti esteri, salari triplicati e sviluppo delle nuove tecnologie

Tutti pazzi per il Brasile: ormai non c’è dibattito, reportage o conferenza che non tocchi il tema della sua miracolosa crescita, ma, soprattutto, delle sue straordinarie politiche redistributive che hanno triplicato il reddito minimo, delle favelas sottratte alla criminalità, dei bambini restituiti alle scuole.

Questa è l’immagine che ha conquistato l’entusiasmo di mezzo mondo, soprattutto di tanti intellettuali di sinistra che vi vedono un modello di sviluppo alternativo al rigore e al capitalismo occidentale, un modello che attenua le diseguaglianze anziché acuirle. Ed è un’immagine che rende orgogliosi i politici brasiliani, che la mostrano volentieri.

Se qualche anno fa i politici erano furibondi con giornalisti e i turisti che si inerpicavano tra le favelas per fotografare o intervistare i capi del narcotraffico, oggi il «turismo di favela» è fiorentissimo e incoraggiato. Decine di motociclette ronzano alle pendici delle favelas offrendo gite ai turisti, su internet le agenzie propongono tour organizzati, e gli stessi poliziotti delle Unidades de Policía Pacificadora, le squadre inviate a «liberare» le favelas dalla criminalità, sollecitano i residenti a mostrare ai turisti le zone più significative. È normale, e anche giusto: restituire orgoglio al paese e ai suoi cittadini più umili non è cosa da poco.

Eppure a girare le strade delle grandi città del Brasile ci si rende conto che il suo miracolo economico ha molte altre facce e sfumature. A guardare le frotte di giovani elegantissimi che persino nei giorni infrasettimanali affollano i locali glamour del quartiere di Jardim a San Paolo o Ipanema a Rio, dove un risotto ai funghi costa trenta euro, si capisce che questo non può essere trainato dall’aver portato il salario minimo a 280 euro.

E parlando con tanti brasiliani «medi» – giovani ricercatori, imprenditori, studenti e impiegati – viene fuori che questa visione così riduttiva e semplificata del boom brasiliano li infastidisce anche un po’. In parte perché sanno che il paese ha ancora molti problemi, e in parte perché a leggere le storie che rimbalzano sui giornali internazionali pare che fino a pochi anni fa il Brasile fosse la terra di nessuno e i brasiliani fossero tutti poveracci scalzi, sporchi e ignoranti.

La rinascita del Brasile invece ha radici più profonde e ha alle spalle politiche sociali ed economiche ben più articolate e complesse dei meri sussidi. È da questo lungo percorso, iniziato negli Anni Novanta con le misure di Fernando Henrique Cardoso che il Brasile ha iniziato ad alzare la testa. Da un lato le liberalizzazioni e privatizzazioni di Cardoso cominciarono ad aprire l’economia brasiliana agli investimenti e al commercio estero, contribuendo ad abbassare i prezzi delle importazioni e a rendere più efficiente la produzione interna. Dall’altro lato il profondo piano di stabilizzazione monetaria (il famoso Plano Real) mise sotto controllo l’inflazione folle di quegli anni, che cresceva del 1000-2000 percento all’anno e che aveva distrutto il potere d’acquisto dei cittadini e i loro risparmi.

Misure di stabilizzazione che il governo di Lula, eletto nel 2003, si è ben guardato dal ribaltare, per non intaccare la credibilità e la fiducia dei mercati internazionali che il Brasile si stava costruendo. Non è un caso se, appena eletto, Lula nominò governatore della Banca Centrale Henrique Meirelles, un noto economista pro-mercato, impegnandosi poi, poco dopo l’elezione, a rimborsare interamente e con due anni di anticipo il prestito di quindici miliardi e mezzo di dollari che il Fondo Monetario Internazionale aveva concesso al Brasile nel 2002. Per non parlare delle misure durissime per ridurre la spesa e i debiti delle amministrazioni pubbliche e degli enti locali. Insomma, dietro ai miliardi elargiti in sussidi e assistenza, si nasconde un paese che da molti anni sta perseguendo politiche economiche articolate che toccano moltissimi ambiti e settori: stabilità finanziaria, lotta all’inflazione, ma anche investimenti in innovazione, ricerca, tecnologie.

Oggi il Brasile è leader nelle tecnologie agroalimentari e nella produzione di biocarburanti, ha un’industria del software tra le più sviluppate del mondo, che continua a crescere a tassi elevati (attorno all’8% annuo), e ha un livello di diffusione di internet e computer paragonabili a quelli occidentali. Tutto questo non è il risultato di un miracolo improvviso o di politiche sociali, ma investimenti e politiche industriali mirate.

Il Brasile ha visto infatti una precoce e profonda modernizzazione e «digitalizzazione» sia del settore privato che di quello pubblico, basta pensare che da quindici anni in Brasile si vota elettronicamente e che già nel 2000 il Brasile spendeva in ICT (tecnologie per la comunicazione e l’informazione) l’8,3% del proprio PIL – più del doppio di quanto facesse l’India, e persino superiore alla spesa statunitense.

Per vedere questo Brasile moderno e inaspettato non bisogna arrampicarsi sulle favelas, ma scendere lungo la costa di Rio de Janeiro, oltrepassare le spiagge affollate di Copacabana, Ipanema e Leblon, e scendere ancora, finchè non si arriva al quartiere di Barra de Tijuca, o semplicemente «Barra»: una lunga spiaggia immacolata, giardini lussuosi ed enormi palazzi di vetro e acciaio.

È dentro questi palazzi che si trovano i manager e gli ingegneri rientrati dagli Stati Uniti per sviluppare piattaforme, applicazioni, tecnologie, campagne di pubblicità e comunicazione per il mercato brasiliano. Ed è qui che le multinazionali approdano per conquistare uno dei mercati più appetitosi del mondo. Con qualche sorpresa, come quella di Tommaso Canonici, giovane manager italiano di un’azienda spagnola venuto qua per allargare la sua squadra e che si è sentito chiedere da giovani laureati più di quanto guadagni lui in Spagna.

D’altronde il salario minimo sarà anche 280 euro al mese, ma un manager prende 80-100 mila euro all’anno (il che significa spendere più del doppio, perché le tasse per le imprese sono altissime). Osservando e ascoltando questo Brasile si comincia a capire meglio la multidimensionalità del «miracolo» e delle politiche economiche e industriali che lo sostengono.

Si capisce inoltre da dove arrivi tutta la domanda di auto, case e ristoranti eleganti che si vedono in giro, e cosa dia così tanta energia e stimolo a questa gente. Persone che non vedono il loro paese con gli occhi romantici con cui li guardiamo noi, con la nostra nostalgia di un modo più giusto e solidale, incontaminato da banche e globalizzazione, ma che hanno una gran sete di crescita e modernità, hanno voglia di mangiarsi il mondo. E mentre noi li guardiamo imbambolati hanno già apparecchiato la tavola.

Fonte: La Stampa

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