L'epicentro del dolore è in tutta Italia

di Aldo CazzulloCorriere della Sera del 30.05.2012

Non è solo il terremoto dell’Emilia; è il terremoto del Nord. Stavolta sarebbe sbagliato trovargli un nome: il terremoto dell’Aquila, dell’Irpinia, del Friuli. L’allarme è nazionale: il terremoto d’Italia. L’epicentro del dolore è qui, sotto le macerie della Haemotronic di Medolla, dove sono stati estratti tre corpi, e nella notte si cerca un ultimo disperso. Ma il sisma ha portato la distruzione anche a Nord del Po, il panico in tutta la Lombardia, la paura da Trento a Perugia, dalla frontiera con la Francia a quella con la Slovenia. Danni in tre regioni, 1.350 sfollati nel Mantovano, crolli in Veneto, scuole sgomberate a Milano. Allarme a Parma nel ritiro della Nazionale già scosso da altre vicende, rinviata la partita con il Lussemburgo; su Twitter dilaga la campagna per rinunciare alla rassegna del 2 Giugno, il governo annuncia per il 4 il lutto nazionale. Ed è impossibile non vedere nel terremoto nazionale del 29 maggio la metafora dell’Italia. Un Paese impaurito, su cui pare accanirsi un destino avverso. Ma anche un Paese solidale, che non resta inerte, che reagisce, che resiste.

A Milano la prima scossa ferma la metro; paura in particolare ai piani alti delle case; sgomberati il Pirellone, Palazzo Marino, le Poste di piazza Cordusio, la Fiera di Rho e otto scuole, allarme per la caduta di intonaci alle elementari di via Gabbro al quartiere Bovisasca, chiusa l’Accademia di Brera. Danni in tutta la Lombardia, anche in aziende lontane dall’epicentro come la trafileria Crotta di Cisano Bergamasco, ma in particolare a Mantova: colpita la capitale del Rinascimento, sette feriti, danneggiato Palazzo Te, crolla il cupolino della basilica palatina di Palazzo Ducale: la scossa delle 9 lo manda fuori asse, quella delle 13 lo abbatte. Transennata la sinagoga di Sermide, chiuso il centro di Gonzaga, chiesta la fine anticipata dell’anno scolastico, mentre si alzano tende per 250 sfollati e si cercano altri 800 posti letto. Cellulari irraggiungibili nel Bresciano e nel Veronese, fuga dei fedeli dalla basilica del Santo a Padova, chiuse le scuole a Massa e in Versilia, chiuso il Palazzo della Sapienza dell’università di Pisa, si teme per la biblioteca. Gente per strada in Trentino e a Trieste, allarme in Piemonte, chiamate ai vigili del fuoco in Liguria. A Firenze sgomberati il palazzo di giustizia e le scuole. Transenne a Venezia a Piazzale Roma dopo il crollo di una statua nel giardino Papadopoli, chiuso il teatro della Fenice. Allarmi autentici e forme di suggestione. Senso di emergenza nazionale, amplificato dalle emozioni scambiate sui social network e dall’allarme che sale anche dal Sud: sette scosse tra Calabria e Basilicata.

Colpisce però, man mano che ci si avvicina all’epicentro, vedere come la fobia diventi scoramento, e le grida cedano al silenzio. A Bologna sgomberato Palazzo d’Accursio, il municipio, ma con calma, senza panico. Rari gli episodi di isteria o di indegnità. A Rolo, nel Reggiano, una donna cinese di 36 anni, terrorizzata, si getta dalla finestra del primo piano; si salverà. In un supermarket di Reggio, approfittando delle porte spalancate per far uscire i clienti, uno sciacallo punta una pistola al cassiere, si fa consegnare 6 mila euro e fugge in bicicletta. Per il resto, entrando nella zona più colpita l’impressione è di grande compostezza e dignità.

La scena è la stessa, nell’ospedale da campo di Mirandola, come nella tendopoli che la Protezione civile ha innalzato nel giardino della scuola media «Giovanni Pascoli», a San Felice sul Panaro. Anziani adagiati sulle carrozzelle e sui letti all’ombra degli alberi: sono vittime di crisi d’ansia, collassi, principi di infarto; li assistono figli e nipoti, che si sono portati una sedia da campeggio per far loro compagnia. Una signora scoppia a piangere all’improvviso, interviene uno psicologo, la accarezza, le porge da bere. Dietro la tenda bianca si prepara la cena. Attorno a un tavolino da campeggio ci sono gli operai senegalesi e ivoriani della Nuova Gm, l’azienda meccanica di San Felice, «lavoriamo anche per la Lamborghini» dicono con orgoglio. In un angolo, le donne velate, con i bambini in braccio. Il sentimento prevalente, più che il terrore, è l’angoscia. Avevano creduto che il peggio fosse passato, pensavano già a ricostruire, a ripartire; il colpo è stato durissimo. Le scosse si susseguono – a fine giornata saranno un centinaio – quasi nell’indifferenza. A Mirandola hanno sgomberato anche il centro dov’erano ricoverati 150 malati di Alzheimer. La statale è un alternarsi tra sommersi e salvati, case squarciate con letti e armadi in vista e altre senza una crepa. Medolla è il paese che ha pagato il prezzo più alto: almeno sette morti, tre nell’industria biomedica Haemotronics. Di fronte c’è la Menu, azienda alimentare: il capannone mezzo crollato mostra centinaia di casse di cibi precotti. La Haemotronics all’apparenza è intatta: il crollo è avvenuto all’interno, i superstiti hanno ancora il camice strappato.

L’epicentro coincide con i simboli della meccanica d’eccellenza: si fermano industrie conosciute in tutto il mondo, la Ferrari, la Lamborghini, la Ducati. L’area più colpita coincide con il distretto del parmigiano reggiano: le province di Parma, Reggio, Modena e parte di quelle di Mantova e Bologna. Un sistema produttivo unico, che utilizza solo il latte delle mucche allevate qui con il solo foraggio della zona. Crolli nelle stalle e nei depositi, 500 mila forme danneggiate, che si aggiungono alle 300 mila del terremoto del 20 maggio: un disastro per il settore, una ferita per un simbolo dell’identità emiliana e italiana. Le aziende agricole coinvolte sono centinaia, colpite le cascine e le serre, gli animali e i macchinari, oltre ai capannoni della meccanica e delle biotecnologie. Non a caso le vittime sono lavoratori. Musulmani come Mohammed Azzar, marocchino; sikh come Pawan Kumar, indiano del Punjab. La notizia della morte di Sergio Cobellini, colpito da un comignolo a Concordia (Modena), viene data dalla sua compagna, Nina Kulapina, badante della madre. E don Ivan Martini muore mentre controlla i danni della sua chiesa, Santa Caterina, a Rovereto Emilia.

Stavolta il terremoto non è un evento isolato, da guardare in tv. Dopo la paura, in tutto il Nord si fanno sentire i disagi. Treni rallentati tra Verona e San Bonifacio, tra Ravenna e Faenza, tra Bologna e Ferrara, tra Modena e Piacenza; ne derivano ritardi su tutte le tratte. La reazione delle tv è immediata, pure la Rai parte subito con le dirette, l’allarme rimbalza sui new media: si cercano paralleli con le altre cattive notizie di questi giorni, l’attentato di Brindisi, il sisma di dieci giorni fa, lo scandalo del calcio, i suicidi, la crisi economica. Napolitano si fa interprete della sofferenza e della preoccupazione, quando dice: «Supereremo anche questo terribile momento». Il 2 giugno sarà celebrato comunque, e sarà dedicato proprio alle vittime di ieri.

E in qualche modo il Paese risponde. La Lombardia reagisce: a Mantova viene potenziato il servizio del 118, le linee di comunicazione sono assicurate via ponte radio. A Quistello si monta una tenda per i 40 pazienti del dipartimento di salute mentale. A Milano le 616 verifiche di agibilità danno esito positivo, oggi tutte le scuole saranno aperte; confermata la visita del Papa e il programma della Fiera internazionale della famiglia. Si mobilitano le strutture preposte all’emergenza, ma si attiva anche la catena della solidarietà.

Mille vigili del fuoco sono al lavoro tra Modena e Ferrara. Le crocerossine aprono il loro quarto ospedale da campo, a Massa Finalese. A Sassuolo si raccoglie acqua potabile destinata ai comuni più colpiti, che sono rimasti senza. La Protezione civile prepara tende e roulotte vicino alle cascine, per gli agricoltori che non possono allontanarsi dalle terre e dagli animali. Il Policlinico di Modena sposta neonati e mamme dal reparto maternità, che è al sesto e settimo piano, dove le scosse si sentono troppo; i pazienti meno gravi accettano di far loro posto. Il soccorso alpino invia due unità cinofile, con i cani specializzati nel trovare superstiti sotto le macerie. A Crevalcore due treni con cuccette e posti letto accolgono 450 sfollati. Decine di alberghi aprono le porte. Una colonna che monterà una tendopoli parte dall’Aquila nella notte. Una notte che a migliaia, pur avendo una casa agibile, hanno scelto di passare fuori. Le strade che da Medolla salgono verso il Ferrarese o scendono verso San Giovanni in Persiceto sembrano campeggi, punteggiate come sono da giardini pieni di canadesi e altre tende colorate. Racconta una ragazza al microfono della radio locale: «Mio papà mi ha detto che Mirandola è stata distrutta da un bombardamento durante la guerra. Ora tocca a noi fare la nostra parte. Ricostruiremo anche stavolta».

Fonte: Corriere della Sera

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