Lo strumento dimenticato

Di Angelo Panebianco – Da Il Corriere della Sera

Roma, 23 gen. 2014: Poiché il meglio è nemico del bene va detto che qualunque sistema elettorale sarebbe per noi migliore di quello (proporzionale con preferenze) che ci ha consegnato la Corte costituzionale: anche uno scelto a caso fra un centinaio di diversi possibili sistemi elettorali. Se restasse la proporzionale così come è, infatti, saremmo condannati per sempre all’ingovernabilità. Solo con partiti forti e radicati la proporzionale funziona ma tali partiti non li vedremo mai più, nemmeno col cannocchiale. Per dire che, piuttosto che la proporzionale, va bene anche il sistema elettorale su cui si sono accordati Renzi e Berlusconi. Ma c’è un «ma». Quella proposta prevede collegi plurinominali e liste di candidati, sia pure senza preferenze, ossia bloccate. Liste corte, certo, per non incorrere di nuovo nel veto della Consulta. Ma pur sempre bloccate. E sulle liste bloccate non poteva non riproporsi la solita polemica sul «Parlamento dei nominati». Non è solo Alfano a volere le preferenze (magari la sua è solo pretattica). Le vuole anche la minoranza antirenziana del Pd che, però, come ha detto Rosy Bindi, è maggioranza in Commissione.

Esisteva un solo modo per evitare il rischio di ritrovarsi a discutere di preferenze sì/preferenze no: un accordo che prevedesse il ritorno ai collegi uninominali. Il collegio uninominale è lo strumento migliore, il più pulito, per garantire il massimo possibile di rappresentatività dell’eletto rispetto all’elettore. La sua superiorità sia nei confronti della lista bloccata sia nei confronti del «mercato delle preferenze» è evidente. Purtroppo, l’accordo Renzi-Berlusconi non è andato in quella direzione e non resta che prenderne atto. Per lo meno, bisogna cercare di limitare i danni, fare fuoco di sbarramento contro la sciagurata eventualità del ritorno alle preferenze.
Le preferenze sono portatrici (insane) di due gravi malattie. La prima consiste nella pesante distorsione che introducono nella competizione democratica. Contro l’opinione secondo cui la preferenza sarebbe un mezzo «per dare all’elettore la possibilità di scegliere l’eletto, e bla bla bla», le preferenze hanno l’effetto di sovrapporre alla competizione fra i partiti quella dentro i partiti, fra i candidati dello stesso partito.
Ciò poteva avere un senso nella cosiddetta Prima Repubblica, un sistema politico bloccato ove l’unica vera competizione era quella fra le correnti e i candidati in lotta per le preferenze dentro ciascun partito. Perché riproporre oggi quelle distorsioni?

C’è poi una seconda malattia. La rappresentanza degli interessi, anche quella normale e lecita in altre democrazie, è oggi a serio rischio di criminalizzazione. Mentre voteranno sulle preferenze i parlamentari diano un’occhiata alla legge Severino, la legge anticorruzione approvata all’epoca del governo Monti. D’ora in poi, sarà difficile per qualunque parlamentare (capi politici a parte), eletto grazie a tante preferenze, dimostrare che esse non siano frutto di «voto di scambio», indizi, se non prove, di un reato penale. Reintroducete le preferenze e darete lavoro supplementare a tutte le procure. A elezioni fatte, e vincitori proclamati, fioccheranno gli avvisi di garanzia. Il processo di subordinazione del potere rappresentativo a quello giudiziario farà un altro passo avanti.

Se ci saranno di nuovo le preferenze, i temerari che si candideranno faranno bene a presentarsi agli incontri con gli elettori accompagnati dai loro avvocati.

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