Di Fabrizio Forquet – Da Il Sole 24 Ore
«In questa situazione le imprese con un export inferiore al 50-60% non possono sopravvivere». Il grido d’allarme di un imprenditore tosto come Patrizio Bertelli andrebbe fatto risuonare nelle prossime 48 ore nelle stanze del Governo dove tecnici e politici stanno scrivendo le norme del decreto “del fare” che potrebbe essere approvato domani. La «sua» Prada, grazie proprio all’export, genera utili e occupazione, ma – si chiede Bertelli – come può sopravvivere un sistema produttivo dove «a fronte di uno stipendio lordo di 3.500-4.000 euro, i soldi che finiscono davvero in tasca al lavoratore sono 1.200-1.300 euro?».
È la domanda cui non si può non rispondere. Trovando al più presto le risorse – attraverso i tagli di spesa, la revisione delle agevolazioni fiscali e i margini da contrattare con la Ue – per abbattere il cuneo fiscale. Intanto però le norme sulle nuove assunzioni sembrano destinate a slittare e le aspettative sul vertice europeo di oggi a Roma non possono che essere ridotte. Le ristrettezze di bilancio, ormai sembra inevitabile, imporranno anche al Governo di lasciar aumentare l’Iva.
La verità è che se non si rilancia subito la produzione, la capacità del nostro sistema di creare ricchezza, non avremo mai le risorse per ulteriori provvedimenti e ulteriori coperture. Va attivato un circolo virtuoso. E allora è importante il segnale che può arrivare dalle misure che il Governo potrebbe varare già domani. Sono semplificazioni utili agli investimenti e all’edilizia, interventi essenziali per ridurre la complessità del sistema fiscale, misure per la giustizia. Ma soprattutto c’è un buon pacchetto di norme predisposte dal ministero dello Sviluppo che possono avere un impatto forte sul sistema produttivo. Due su tutte: l’intervento della Cassa depositi e prestiti per un programma di investimenti agevolati per il rinnovo dei macchinari di impresa e l’estensione dell’accesso al Fondo centrale di garanzia per il credito alle aziende.
Sono misure importanti, molto attese dalle imprese, che non devono saltare in extremis, come è avvenuto in altre occasioni. Non devono saltare e non devono essere depotenziate, magari confinandole in un disegno di legge destinato a una complessa navigazione parlamentare oppure affidandole alla solita pletora di norme attuative che poi non arrivano mai.
È un test per il riformismo di questo Governo e per la sua capacità di rilanciare l’economia. Il legame tra riforme e sviluppo, tra nuove leggi e produzione di ricchezza deve essere la bussola del Governo e del Parlamento nei prossimi anni.
Per troppo tempo in Italia la politica è intervenuta per allargare tutele e trattamenti ignorandone la compatibilità con la produzione di ricchezza.
Siamo usciti dal boom economico con l’illusione di un’espansione senza fine. Ancora negli anni Settanta e Ottanta, quando era chiaro che la curva demografica e quella del Pil non potevano più essere quelle degli anni del boom, sono state fatte leggi per allargare tutele e garanzie sociali senza alcuna corrispondenza con la ricchezza prodotta. Abbiamo chiamato diritto quello che non lo era. Abbiamo vissuto in una bolla. E a un certo punto quella bolla è esplosa e ci ha lasciato senza fiato.
Se oggi non vogliamo rinunciare del tutto al benessere che avevamo conquistato, dobbiamo ricalibrare la nostra bussola in funzione della produzione. Solo se sapremo tornare a crescere, con un riformismo ossessionato del “produrre ricchezza”, manterremo i nostri livelli di vita e i nostri “diritti”.
La qualità del lavoro «made in Italy» e la capacità antica di innovare della nostra industria sono ancora in piedi. Ce lo ricorda di nuovo Bertelli, quando dice che, se in Italia si smettesse di lavorare, alle maison d’oltralpe mancherebbe il 60% dei prodotti di lusso. Riscopriamolo quel l’orgoglio produttivo e immaginiamo ogni intervento legislativo in funzione di un suo rilancio. A cominciare da oggi.