Di Alberto Orioli – Da Il Sole 24 Ore
È chiaro che il grosso della partita per il lavoro dei giovani l’Italia lo giocherà in sede Ue fin dal Consiglio europeo di oggi. Trasformare il successo diplomatico e d’immagine che Enrico Letta ha ottenuto con il vertice a quattro di Roma sull’emergenza lavoro in un successo tangibile, quanto a risorse e programmi operativi, non è passo facile. L’Italia intende negoziare una dote supplementare fino a 4 miliardi, se riuscirà a modificare gli obblighi di cofinanziamento, e punta a concentrare nel solo primo anno di avvio i fondi legati al progetto Youth Guarantee che invece “spalmano” su sei anni i 4-500 milioni destinati (ma non ancora assegnati) all’Italia. E il vertice di oggi è importante per comprendere se l’Europa matrigna del rigore libresco (su cui ha fatto mea culpa anche il Fondo monetario) ha davvero ceduto il passo a un’idea più solidale e prosaica del cammino comune dei 27 verso una fase di nuovo sviluppo.
Gli sforzi fatti finora dall’Italia in questa direzione cominciano a essere componibili: lo sblocco dei 40 miliardi di mancati pagamenti della Pa ai suoi fornitori; 5 miliardi destinati alle industrie per acquisti di nuovi macchinari; l’aumento della dote del fondo di garanzia e altre misure minori del “decreto del fare” si abbinano alle nuove misure di ieri per l’occupazione giovanile e l’inclusione delle fasce deboli. Qualcosa si muove; la debolezza del puzzle sta nello scarso impatto finanziario. La difficoltosa componibilità delle forze politiche della maggioranza – esplosa anche ieri nella norma Expo – diventa ostacolo a scelte forti e univoche su cui concentrare le (poche) risorse disponibili. La strategia di Letta (il “temporeggiatore”) è evidente: rassicurare l’Europa sulla volontà dell’Italia di rispettare i patti con i partner diventa precondizione per negoziare uno “spazio politico” per lanciare la fase della crescita. Può funzionare purché, di rinvio in rinvio, non si arrivi all’autunno con l’ingorgo fiscale (Iva, Imu, Tares) e la bomba sociale non ancora disinnescata, eventualità – purtroppo – assai lontane dall’essere scongiurate.
L’Italia modificherà questo orizzonte quando non rinvierà più la vera trattativa politica, sia sul fronte interno, sia sul fronte europeo: quella della riscrittura di un nuovo patto fiscale tra governo e cittadini, dove lotta all’evasione, tassazione sulle cose e non sulle persone e abbattimento del famigerato “cuneo” su lavoro e impresa, siano affrontati insieme e insieme risolti. Solo riducendo la distanza tra costo del lavoro e salario netto si libereranno le opportunità per creare lavoro stabile e duraturo e rilanciare, nel contempo, la domanda interna oggi congelata dalla sfiducia e dal “furto di futuro”.
Nell’attesa diventa inevitabile una difficile azione del “passo dopo passo”. L’importante è non perdere di vista che il lavoro – quello vero – non lo crea il ministero del Lavoro, semmai il ministero dello Sviluppo economico. Ma, soprattutto, lo creano le imprese.