Da Il Sole 24 Ore – Di Mariastella Gelmini
Così si restituisce efficienza e si ricostruisce un rapporto coi cittadini.
Roma, 20 lug. 2014: La riforma della pubblica amministrazione presentata dal governo è un enorme cesto dentro il quale sono state riversate alla rinfusa molte ambizioni sorrette da alcune norme, giuste e da molto tempo attese, ma nel fondo prive di quella visione incisiva, organica e coerente che di solito accompagna una riforma di sistema. Come per la riforma del lavoro, anche per la Pa il presidente Renzi ha scelto un doppio binario: un decreto legge, con interventi minimi, e un disegno di legge delega, più robusto e ambizioso nelle sue finalità ma anche di più remota realizzazione.
Tra le disposizioni che il Governo pubblicizza come innovative se non addirittura rivoluzionarie, si annoverano quelle sul ricambio generazionale per consentire l’ingresso di giovani nella Pa da realizzare attraverso la fine dei trattenimenti in servizio oltre l’età pensionabile ed una semplificazione del turn over. Secondo i calcoli inguaribilmente ottimistici dell’esecutivo, in questo modo si creerebbero ben 15mila nuovi posti di lavoro. Tuttavia, se si considera che i trattenimenti in servizio sono circa 1.200 l’anno e che di questi la metà sono relativi ai magistrati, per i quali i trattenimenti in servizio potranno continuare fino a tutto il 2015, si capisce come l’effetto sarà sfortunatamente minimo.
Non mancano interventi positivi, l’incompatibilità per i magistrati degli incarichi extra giudiziari; il dimezzamento dei distacchi sindacali, da me sempre sostenuto; il ruolo unico dei dirigenti.
Tuttavia non emerge una visione leaderistica della Pa, capace di incidere sulla valutazione di qualità come pure spicca l’assenza di chiari obiettivi da raggiungere. Il risultato di queste mancanze è una riforma priva di mordente e incapace di scuotere il mondo della Pa per proiettarlo verso un orizzonte meritocratico, in cui le qualità professionali, il rendimento sul lavoro siano davvero i parametri decisivi per valutare e premiare le persone. Non serve un’unità di missione, come sostiene Renzi: è invece indispensabile che ci sia una responsabilità specifica in capo agli amministratori, ai dirigenti ed ai funzionari, non lasciando alla buona volontà dei singoli l’attuazione delle Riforme.
Si tratta di mancanze, come si vede, che fanno emergere lo spirito velleitario della riforma: nella proposta del Governo non c’è alcun riferimento alla responsabilità dei dipendenti pubblici, alla possibilità di licenziamento, ad una vera mobilità obbligatoria, all’individuazione di precisi criteri per la determinazione degli esuberi, mentre troppo generici sono le previsioni di valutazione per la progressione di carriera. A conferma che manca o non si è ancora sufficientemente affermata una “cultura della valutazione”, la sola in grado di restituire efficienza alla Pa e ricostruire un rapporto fiduciario con i cittadini. Quando un cittadino vede riconosciuto il valore di un dirigente cresciuto a contatto con il pubblico, quel cittadino ritrova la sua fiducia nello Stato.
Nel decreto in esame si perde anche uno dei tasselli più innovativi della riforma Brunetta: la valutazione da parte dei cittadini, elemento indispensabile capace se praticata di incidere fortemente sulla accountability della pubblica amministrazione. Anziché rafforzare in maniera adeguata la mobilita obbligatoria il decreto legge facilita la mobilità volontaria del lavoratore, cioè quella che serve meno alle amministrazioni. Sarà pertanto il personale delle pubbliche amministrazioni a potersi trasferire ad altro ufficio senza l’assenso dell’amministrazione di appartenenza.
Una vera riforma che aspiri a rendere la pubblica amministrazione meno costosa per i cittadini e per il bilancio dello Stato dovrebbe invece mirare alla riduzione drastica dell’apparato pubblico, lasciando ampio spazio all’iniziativa privata nello svolgimento di attività e servizi oggi appannaggio di enti pubblici e società partecipate, fonti di sprechi ed inefficienza.Sono in realtà ben poca cosa le previste riduzioni dei compensi degli Avvocati dello Stato, o dei diritti di rogito dei segretari comunali.
Al contrario, il brusco taglio del 50% del contributo che le imprese versano alle Camere di Commercio, come ha ben illustrato il presidente di Unioncamere, a fronte di un risparmio irrisorio per le aziende ed a nessun beneficio per i bilanci pubblici, farebbe venir meno la copertura finanziaria per i servizi di credito e di finanziamento offerti alle aziende ed al territorio.
Forza Italia è favorevole ad un riordino delle Camere di Commercio, ad una loro eventuale razionalizzazione, in base a criteri di efficienza e di ricadute in termini di investimenti sui territori, non limitandosi a dimezzare i contributi e ignorando il ruolo effettivamente svolto dalle Camere per servizi alle imprese. È bizzarro che il Governo intenda eliminare gli unici enti pubblici che funzionano con il solo contributo delle imprese. Analogamente, la soppressione delle sedi distaccate dei Tar è operata senza tener conto dei principi di produttività e di effettività dei costi. Vi sono sedi distaccate che gestiscono un numero di ricorsi enormi e non hanno impatto sulle spese, essendo in immobili di proprietà.
Per concludere: la riforma contiene norme eterogenee e complessivamente inidonee a consegnarci una pubblica amministrazione snella ed efficiente. L’interesse del Governo va nella giusta direzione, per altro tracciata da precedenti provvedimenti, ma rischia di essere privo di quegli elementi di “rottura” tipici di una riforma che abbia l’ambizione di imprimere una svolta.