Presidenzialismo parlamentare

di Giovanni SartoriCorriere della Sera del 26.02.2012

L’imprevisto governo dei tecnici ha riaperto tutti i giochi, ivi incluso quello (necessarissimo) della riforma elettorale. Difatti i maggiori partiti (Lega esclusa) si stanno già incontrando per accordarsi su una nuova legge per votare. Ma dai primi incontri sono emerse soltanto, per ora, stramberie che anch’io stento a capire. Aspettando idee migliori, è tempo di realizzare che noi abbiamo già sviluppato e stiamo già praticando un costituzionalismo anomalo che dirò «presidenzialismo parlamentare». Che non ha bisogno di essere spiegato ai lettori del Corriere perché questa formula trova nel mio collega Angelo Panebianco un inventore di straordinaria perseveranza e bravura. Il che mi consente di entrare subito in argomento.

Ripartendo dall’inizio, noi abbiamo una costituzione parlamentare «pura» il cui difetto di nascita è di essere nata nel 1948 e quindi con la paura del «troppo potere» (uscivamo da una dittatura e già si intravedeva, nel Pci, un temibile partito comunista). Questo difetto di nascita non ha creato problemi finché è durata l’egemonia democristiana; ma con la sua fine è presto diventato evidente che il nostro era un potere di governo troppo debole. Difatti il grosso dei nostri costituzionalisti da gran tempo suggerisce due rinforzi: l’adozione del voto di sfiducia costruttivo vigente in Germania (un governo non può essere rovesciato se non è già concordato il nuovo premier) e, secondo, l’attribuzione al premier del potere di cambiare sua sponte i ministri del suo governo.

Io e molti altri si accontenterebbero di queste due piccole e semplici riforme. Ma Panebianco e il gruppo al quale appartiene persegue da tempo un altro disegno: quello di trasformare il nostro sistema parlamentare in un sistema di potere presidenziale diretto e pressoché incontrollato (molto più forte del presidenzialismo americano, perché non sarebbe intralciato dalla divisione dei poteri tra esecutivo e legislativo).

Non posso illustrare qui l’intero disegno; basterà ricordarne qualche aspetto. Intanto, uno spauracchio: attenti, rischiamo di perdere il nostro bipolarismo. Ma questa perdita non dipende, se avviene, dal sistema elettorale (maggioritario o proporzionale che sia) ma semmai dalla frammentazione-polverizzazione del sistema partitico. Secondo, la dottrina del ribaltone. Un reato che non è contemplato da nessun sistema parlamentare, perché la caratteristica di questi sistemi è, appunto, la loro flessibilità e cioè di consentire cambiamenti di governo e di maggioranze. L’ultima trovata, la più recente, è di conferire al premier (togliendolo al capo dello Stato) il potere di sciogliere le Camere. Una proposta che mi sembra inaccettabile, visto che darebbe al premier un potere sui parlamentari che è davvero uno strapotere.

Tutta questa deriva verso un presidenzialismo (anzi un iperpresidenzialismo), che non è disciplinato né dalle regole del sistema parlamentare né dai vincoli del presidenzialismo americano, si riassume nel colpo di mano (avallato a suo tempo senza fiatare dal presidente Ciampi) che introdusse il nome del candidato premier sulla scheda elettorale. Per ora non è successo, ma un qualche futuro candidato potrebbe sostenere che il capo dello Stato non interviene più nel processo di nomina. Lui è già eletto capo del governo dal voto popolare e poi potrà governare vantando di essere direttamente eletto e voluto dal popolo. Un vanto infondato (il suo nome non è scritto dal votante e la scheda nemmeno consente cancellazioni). Mi auguro che il prossimo sistema elettorale cancelli anche questa pericolosa birbonata.

Fonte: Corriere.it

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