Come dimostrano le esperienze estere, produrre acciaio senza inquinare e attuare piani di recupero ambientale è possibile ed è quello che deve esser fatto. Contrapporre la tutela del lavoro alla sicurezza ambientale è un gioco della torre che una classe politica seria e responsabile non può permettersi di fare.
Sull’ILVA non possiamo tornare indietro: abbiamo già impiegato ingenti risorse pubbliche e ne triplicheremmo la perdita se non trovassimo il modo per sbloccare la situazione.
Non si perda la disponibilità della cordata che si è aggiudicata l’acquisto dello stabilimento, che prevede sia la tenuta occupazionale sia il recupero ambientale. Si raccolga anche la disponibilità della parte più aperta del sindacato a continuare le trattative anche ad oltranza, per trovare lo stesso spirito con cui in questi anni sono stati salvati e rilanciati altri importanti gruppi industriali patrimonio del nostro Paese. Affrontiamo la questione con il sano principio di realtà, che non può affidare il futuro dell’acciaio italiano a misure di carattere estemporaneo, come un piano straordinario di investimento infrastrutturale che a sua volta richiede altri interventi normativi e il superamento di tante altre resistenze.
Il futuro dell’ILVA deve essere affidato a politiche di crescita economica stabile e duratura. Ricordiamoci che senza creazione di ricchezza non può esserci lavoro, recupero ambientale e nemmeno politiche redistributive.
Il futuro del Sud Italia passa più attraverso l’ILVA che attraverso il reddito di cittadinanza.