Un’alleanza sottovoce

di Antonio PolitoCorriere della Sera del 02.08.2012

La «narrazione» di Nichi Vendola è sempre complessa, ma ieri lo è stata di più. Non era nemmeno uscito da un incontro con Bersani per concordare un’alleanza col Pd chiusa a Di Pietro e aperta all’Udc, che già convocava una conferenza stampa per smentire di aver aperto all’Udc e chiuso a Di Pietro. Nel mezzo, la rivolta in Rete dei suoi militanti, che di Casini non vogliono sentire nemmeno parlare. Ma la sinistra ha i suoi riti, e quella cui stiamo assistendo è un’elaborata danza di corteggiamento: Vendola non può fare a meno di Bersani, ma non può neanche fare a meno dei suoi elettori, regalandoli a Grillo o a Di Pietro. Così si tenta un avvicinamento graduale e progressivo, fatto di un’allusione e di una smentita, di un passo avanti e uno indietro.

Affabulazioni a parte, sembra però ormai chiaro quale è lo schema di gioco di questa parte politica che ormai apertamente, e incurante dell’infausto precedente del ’94, si definisce «progressista»: mettere insieme la più forte minoranza del Paese, profittando del vuoto che c’è a destra, e allearsi con i moderati dell’Udc dopo il voto, per fare una maggioranza parlamentare. Questo modulo a due punte dei progressisti ha il vantaggio non indifferente di introdurre un elemento di chiarezza: la terza punta, che appariva nella foto di Vasto, è stata tagliata via. Di Pietro non farà parte della squadra perché di fatto ne ha già scelta un’altra, quella dell’opposizione antisistema. Gli interessano più i proclami di Grillo che i programmi di governo. Comparando Napolitano e Monti a Berlusconi ha tagliato definitivamente i ponti col Pd, e se Vendola vuole stare con il Pd non può stare con Di Pietro. La speranza comune è di sostituirlo con la terza ruota di una «lista arancione », capitanata dai sindaci- pm de Magistris ed Emiliano, nel tentativo di attrarre i voti «puritani» della cosiddetta società civile e dare una copertura «morale» alla rottura con Tonino.

Ma la manovra cominciata ieri a sinistra presenta anche lo svantaggio di dover far ricorso a una dose di ambiguità molto elevata, potenzialmente esplosiva. Vendola, per esempio, ha dovuto condire la svolta con la sua candidatura ufficiale alle primarie del centrosinistra, per dimostrare che entra dalla porta principale e non per annessione. Così facendo ha però creato qualche problema non da poco a Bersani, che con Renzi competitore a destra e Nichi competitore a sinistra forse uscirà comunque vincitore, ma difficilmente trionfatore da quella che doveva essere l’investitura alla leadership e dunque la candidatura a Palazzo Chigi.

In secondo luogo, gli «intenti» presentati dal Pd, e ancor più quelli enunciati da Vendola, non sono credibili come la base di un patto d’azione con i moderati, e dunque andranno ricontrattati dopo il voto. Nel lungo documento presentato da Bersani le uniche due proposte chiare sono la patrimoniale e le unioni gay. E se ci sono due cose per le quali ceti medi proprietari ed elettori cattolici sono preoccupati sono proprio il patrimonio e il matrimonio. L’incubo di una riedizione dei conflitti interni alla coalizione dell’ultimo Prodi non sembra dunque per niente scongiurato.

D’altra parte, la visione del conflitto sociale ribadita ieri da Vendola è più compatibile con la Fiom che con la Commissione europea, poiché nemmeno una Germania eventualmente governata dalla Spd ci consentirebbe di avviare un esperimento di keynesismo in un Paese solo e con i soldi degli altri, abbandonando le politiche di austerità.

La mossa a sinistra di ieri è dunque solo l’apertura della lunga partita a scacchi che si concluderà nella prossima primavera e che tiene in apprensione i mercati, in attesa di capire che cosa sarà dell’Italia dopo Monti. Vendola ha proposto di chiamare questa nuova alleanza il «Polo della speranza», e la speranza, si sa, è l’ultima a morire. Ma per fare pronostici sulla sua sorte bisognerà vedere come reagirà il centrodestra, il quale al momento sembra totalmente privo di uno schema di gioco, e però se ne trova uno torna immediatamente in gioco. E, soprattutto, bisognerà vedere come si chiuderà la partita interna all’elettorato di sinistra, e quanti all’alleanza di governo di Bersani e Vendola preferiranno quella di non governo di Grillo e Di Pietro.

Fonte: Corriere della Sera

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